La conquista Romana di Modena

L’epopea della colonizzazione della pianura Padana da parte di Etruschi, Celti, Liguri e poi Romani è affascinante come tutte le storie che si riferiscono agli albori, dove coraggiosi coloni si inoltravano lungo piste appena tracciate…

Questo articolo è pubblicato sul Ducato N° 52 – Luglio/Settembre 2010 (Il Ducato – Terre Estensi n° 35
Speciale, prima degli Estensi: i Celti

La nuova sintesi sulla preistoria linguistica e culturale d’Europa e il problema dell’etnogenesi celtica di Francesco Benozzo
I Celti in Italia di Mitja Gustin
La Gallia Cisalpina di Raimund Karl
I Lingoni della redazione
I Boi e i Celti in Boemia di Rudiger Krause
Le guerre con Roma di Gabriele Sorrentino
La donna presso i Celti di Daniela Marangoli
L’Ogam, l’antico alfabeto dei Celti di Elena Percivaldi
La religione dei Celti antichi di Helmut Birkhan
La croce celtica di Carmine Del Fuoco
I Druidi di John T. Koch
I Celti e l’idea della morte di Matteo Maria Bonghi
Un druida nella Mutina romana di Roberto Albicini
Il dio delle teste tagliate e il culto di San Donnino di Nicola Cassone
Fate e voli notturni per i cieli d’Europa di Marina Polisani
Il neodruidismo di Marion Bowman
Contro il neodruidismo a cura del G.R.I.S.
Il Bundan Celtic Festival

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Gelo d’Estate

Dieci anni ed altri cinque
E ho camminato su un sentiero oscuro
Solo
Bramando il ricordo di una voce, la tua
Desiderando la memoria
Di giorni lontani
Quando mi sorridevi e io con te
E tutto era più semplice

Alberi e rovi
Come scheletri lignei
Mostri verdastri imprigionavano i ricordi
Solo
Mi svegliavo con brandelli di sogni
Le tue parole, le tue carezze
Lontane
Inaridita era la fonte delle mie lacrime

I ricordi della vita
Come stelle lontane di memoria
Fiammelle gelide su cieli di ossidiana
Gemme soffocate da rovi
Porte chiuse su stanze fredde e vuote
La voce era memoria
Lontana
E dominava il Dio Silenzio

Poi una luce è apparsa all’orizzonte
Raggio di sole che ha disciolto le tenebre
Liberando i ricordi dal sepolcro
Tu, non più immagine muta nel marmo
E sento viva una voce
Dolce e chiara, la tua
E ancora riesco a vedere i tuoi occhi
Mentre sorridi

E intorno a te si inchina il mare
E la salsedine ti avvolge
Con lo stesso sapore delle lacrime
Che sgorgano ubertose
Ancora, adesso
Riscopro, nuova, la nostalgia, la gioia
Grazie alla luce che mi ha guidato
Di nuovo, ancora, alla tua voce. 

Copyright © 2010 by Gabriele Sorrentino

Gelo d\’Estate, interpretazione di Tino Martinelli

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L’Aquila

Maometto II conquista CostantinopoliL’aquila planò sulla città devastata. Aveva fatto molta strada dalle montagne dell’Italia centrale per giungere in quel luogo, spinta solo dall’istinto. Mossa da un forza superiore che esulava dal concetto di coscienza, non provava sentimenti per le persone che morivano sotto di lei, non erano le prime che vedeva soffrire, né sarebbero state le ultime. Ciononostante, si attardò ad osservare dall’alto la capitale in rovina, mantenendosi librata nell’aria dove il fragore della battaglia giungeva solo attutito e non si percepivano i miasmi di una città in decomposizione. Quasi immobile nella brezza marina, assaporò un’ultima volta l’odore di quella città, imprimendo nella memoria i contorni aristocratici di un luogo che presto sarebbe diventato leggendario, chiuso allo sguardo degli uomini e relegato nella memoria di un passato mitico. La sua vista superiore le permise di osservare ogni vicolo e finestra di quella città, di cogliere il terrore dei civili che fuggivano al saccheggio e dei soldati che difendevano le posizioni con rassegnato coraggio, ben sapendo che era preferibile morire lì, con la spada in pugno, piuttosto che finire nelle mani dei vincitori. Mentre osservava la battaglia colse una figura che la colpì. Era per quell’uomo che era venuta. Combatteva con la stessa foga disperata dei suoi soldati. In più, però, era animato da un altra grande forza: la consapevolezza di essere l’Ultimo della sua stirpe. Lo vide battersi come un leone, menando fendenti sempre più stanchi, affondando i calzari nel fango, talmente imbrattati di sangue da coprire il loro color porpora. Lo vide attorniato da formidabili guerrieri armati fino ai denti e agghindati da elmi e corazze di foggia orientale. Osservò l’uomo, esausto, abbattere l’ennesimo avversario, affondandogli la tozza spada nel ventre. Ormai agiva per inerzia, in attesa che tutto finisse, che qualcuno lo colpisse e ponesse fine a un regno tormentato, nobilitato dall’eroico sacrificio finale. Il colpo venne, come spesso accade, per caso. Un affondo scoordinato, a causa della stanchezza, e l’uomo si sbilanciò fatalmente. L’aquila osservò impotente la scena, vista tante volte nella sua lunga esistenza. Vide l’avversario trafiggere il sovrano e la calca sommergerne il corpo, un tempo venerato. Immaginò la paura degli ultimi istanti – che provano tanto l’imperatore quanto l’ultimo degli schiavi – quasi vide con gli occhi del morente, che guizzavano disperati in mezzo alle gambe corazzate dei giannizzeri, mentre la città cristiana moriva avvolta dalle fiamme del saccheggio.Il rapace attese ancora, non poteva svolgere il suo compito in mezzo alla rissa. Quando i turchi superarono i cadaveri dei difensori, dilagando, finalmente l’aquila scese sul terreno lordo di sangue. Nonostante la sua vista acuta, faticò a riconoscere il cadavere dell’imperatore, avvinghiato a quello dei suoi uomini e dei suoi assassini, nell’abbraccio livellatore della morte. Lo individuò dalle effigi che aveva sui calzari, raffiguranti proprio l’aquila imperiale. Dolcemente, il rapace si avvicinò alle mani dell’imperatore. La destra stringeva ancora la spada. Col becco, facendo attenzione a non ferirlo, gli sfilò l’anello col sigillo. Diede un ultimo sguardo alla capitale morente e si librò maestosa tra le volute di fumo in direzione del mare.Sotto di lei Costantino XI Paleologo giaceva trucidato in mezzo allo scempio della sua capitale. Gridando di disperazione al cielo, l’aquila si diresse verso il luogo in cui avrebbe custodito il sigillo finché l’istinto le avrebbe suggerito che, da qualche parte nel mondo, qualcuno sarebbe stato degno di indossarlo, rivendicando l’eredità di Roma e Bisanzio. Costantinopoli era morta e con essa le ultime vestigia del mondo antico. Nulla da quel fatale martedì 29 maggio 1453 sarebbe mai più stato come prima.

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Traditore o vittima

Traditore o vittima? Perché una Guardia nobile d’onore di Francesco IV è raffigurata sul monumentoa  Ciro Menotti

Modena, Giovedì 13 maggio alle ore 21,00 nella sede della Circoscrizione Centro

Giuseppe RicciLe Guardie Nobili d’Onore erano un corpo di volontari composto solo di nobili che doveva difendere il Duca “a costo della vita”. Perché, allora, sul basamento del monumento a Ciro Menotti in Piazza Roma è raffigurata la Guardia Nobile Giuseppe Ricci? A queste ed altre molte domande cercherà di dare risposta la conferenza Traditore o vittima? organizzata da Terra e Identità giovedì 13 maggio alle ore 21,00 in piazza Redecocca, nella sede della Circoscrizione Centro.

Modererà Stefano Boni, Presidente dell’Istituto per la Storia del Risorgimento di Modena.

Parteciperanno Gabriele Sorrentino, autore del volume “L’Affaire Ricci”, Elena Bianchini Braglia, che parlerà di Modena tra il 1820 e il 1832 e l’avvocato Mario Leone che, da Giuseppe Ricci a Enzo Tortora ci parlerà di cosa accade quando la giustizia sbaglia.

invitoricci13_05_2010

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La Sentinella

Perugino, RisurrezioneQuesto posto mette i brividi: è troppo silenzioso”.

Il soldato scrutò nervosamente la necropoli. La notte, priva di stelle, avvolgeva la vallata come un sudario. Perfino la natura taceva, come se stesse portando il lutto.

Non farti condizionare, Aronne – lo rimproverò l’altra sentinella – queste favole sulla Resurrezione sono sciocchezze. È da due giorni che lo hanno ammazzato e nessuno è venuto a trarlo dalla tomba”.

Aveva detto che sarebbe risorto il terzo giorno…”.

Sciocchezze!”.

Quando è morto il buio, ha avvolto il Calvario, il velo del tempio si è squarciato, i sepolcri si sono aperti…”.

Tu eri lì? Hai visto?”.

No…ma un mio cugino ha incontrato a Gerusalemme un suo conoscente morto lo scorso anno”. Balbettò Aronne.

Morti che camminano! È una bestemmia! Ti sei fatto condizionare dai vaneggiamenti di questi pazzi. Per questo siamo qui, dobbiamo impedire che rubino il corpo e poi dicano che è resuscitato!”.

Sarà… però questo silenzio è insopportabile…”. Aronne guardò nervosamente il grande masso che chiudeva la tomba.

Un gufo solitario ululò alla notte, come se la valle si stesse risvegliando da un lungo sonno.

“Hai sentito?”. Domandò Aronne tremando.

“Cosa?”. Saul era esasperato dalla dabbenaggine dell’altro. Caifa avrebbe dovuto scegliere meglio i suoi uomini.

Passi. Vengono da dietro la collina”.

Nel silenzio irreale si sentirono piedi leggeri accarezzare il terreno, con un rumore appena percettibile. Poi un bagliore apparve dietro la collina, posta in direzione di Gerusalemme.

“Oddio!”. Aronne cadde in ginocchio, mentre la luce, all’inizio appena un fuoco fatuo, saliva di intensità.

Un giovane apparve da dietro la collina, sfolgorante di luce e vestito di bianco. Aveva lineamenti prefetti e androgeni. Passò leggero in mezzo alle sentinelle atterrite e, dove i suoi calzari si posavano, i fiori sbocciavano profumati.

“F…ermo”. balbettò Saul, facendo cadere la lancia.

Il giovane lo ignorò e cominciò a cantare con voce limpida e lieve: “E’ l’ora, mio Signore! Le tenebre stanno per squarciarsi!”

Un serpente si alzò sibilando davanti al giovane che, imperturbabile, continuò a cantare. Sembrava che non fosse da solo davanti alla tomba nuova di Giuseppe di Arimatea, ma che milioni di voci accompagnassero la sua litania.

Si inginocchiò, allargando le braccia con i palmi rivolti verso l’alto, privi delle linee della mano. 

Dal sepolcro giunse un profumo paradisiaco.

Il rettile si fece sempre più inquieto. Ondeggiava la testa triangolare nel tentativo di far scattare i suoi denti velenosi sul giovane, ma sembrava incapace di avvicinarsi alla fiamma che ardeva intorno al bellissimo corpo.

Una luce esplose all’interno della tomba, spostando la pietra. Il rettile abbassò la testa e fuggì nella notte. Passò sotto le gambe di Saul e lo morse all’inguine. La guardia si accasciò con un rantolo sordo.

Il giovane si prostrò mentre colui, che era stato crocifisso, uscì dalla tomba dardeggiante di luce. Il suo volto era trasfigurato dal trionfo.

Aronne restò immobile, paralizzato dal terrore.

Gesù salutò affettuosamente il giovane, poi si voltò verso Saul riverso a terra. Disse alcune parole e la ferita della sentinella si rimarginò; l’uomo si alzò e, senza nemmeno ringraziare, corse via urlando.

Sei un demone, disse. Un mago!”.

Lo avrebbero ritrovato in seguito, a due giorni di cammino, morto per il morso dello stesso serpente.

Gesù si rivolse, infine, verso Aronne, bianco come un cencio.

Vai in pace”. Gli disse e la sua voce era la quintessenza della gioia.

Poi si allontanò verso la città, mentre l’alba incendiava la valle e le cicale ricominciavano a cantare con letizia.

(Il riferimento è al Vangelo di Matteo 27-28)

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L’Affaire Giuseppe Ricci

L'Affaire Giuseppe Ricci

Gabriele Sorrentino, L'Affaire Giuseppe Ricci, edizioni TEI

Le Guardie Nobili d’Onore erano un corpo di volontari composto solo di nobili che doveva difendere il Duca “a costo della vita”. Perché, allora, sul basamento del monumento a Ciro Menotti in Piazza Roma è raffigurata la Guardia Nobile Giuseppe Ricci?

La risposta a questa domanda potrà essere trovata soltanto tra le pieghe di un complesso caso giudiziario che coinvolse alcuni degli uomini chiave del governo di Francesco IV. Giuseppe Ricci si trova sul monumento perché, accusato di aver ordito una congiura per uccidere il Duca e catturare la Duchessa Maria Beatrice di Savoia, venne fucilato il 19 luglio 1832. Riabilitato nel 1865 da una corte dell’Italia Unita, venne trasformato in un simbolo di quella rivoluzione liberale che lui, duchista convinto aveva di certo osteggiato. Per questo motivo nel 1911 si vide dedicare una delle vie che partivano da Largo Garibaldi e che nel 1945 venne rinominata Viale Virginia Reiter.

Questo volume – che racconta la storia di questo sfortunato aristocratico spogliandola dalle sovrastrutture ideologiche che hanno caratterizzato altri testi sull’argomento – sarà in libreria da maggio al prezzo di 14 euro.

Prenotalo subito a 10 euro più le spese di spedizione inviando una mail

Il libro verrà presentato in anteprima il 13 maggio alle ore 21,00 a Modena, presso la sede della Circoscrizione Centro in Piazza Redecocca.

 

 

 

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Il Circo dei Pagliacci

Il Circo dei Pagliacci

Pennywise il diabolico pagliaccio di IT, rappresenta bene il senso della mia poesia

Il circo dei pagliacci

Troppi pugni,

E pochi abbracci:

Ride e piange

Non lo sai,

Il cerone, copre i guai

Il Pagliaccio !

Oh è falso,

Ma è bello

I bambini, con le mamme

Batti mani – ridi pure

I pagliacci!

Ogni dramma è falso

Ogni risata è

Programmata

Riflettori,

Dentro e fuori

False luci…

La sua anima,

Dov’è?

(ma c’è?)

Il circo dei pagliacci

Ha messo le tende,

Nel Transatlantico.

Scannarsi per un niente

Amarsi poi odiarsi;

Le promesse,

mai attese:

Disattese!

Il circo dei pagliacci

E’ montato nel Palazzo oh,

Tra…

Corridoi di potere

Segreterie

Di segreti…

Tendone in  montato in piazza

Che non si smonta mai;

Chi è fuori è fuori,

Chi è dentro è dentro.

E’ un antico gioco.

Il circo non finisce,

Tutti seduti !

In poltrona a recitare

La parte dei Signori…

Tanti pagliacci,

Ridono come matti.

Copyright © 2010 by Gabriele Sorrentino

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Finisterra

Mappa di FinisterraFinisterra – la saga fantasy di Xomegap. Finisterra è il nome della saga fantasy del laboratorio di scrittura Xomegap. Questo blog contiene informazioni sul mondo in cui i romanzi sono ambientati e aggiornamenti sullo stato di avanzamento del progetto. Vai al blog.

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L’Ispiratore

Relitti. Spettri di macchine le cui grigie chiglie erano appena intubili a occhio nudo, nel gioco di luci ed ombre creato dal piccolo mondo roccioso che biancheggiava sullo sfondo come un teschio butterato. Aleggiavano, silenti ammassi di metallo, in orbita attorno al pianeta, avvinghiati disperatamente ad esso, unica ancora di salvezza nel loro viaggio senza fine.
Oltre mille navi enormi. Erano i resti di due spaventose flotte che si erano affrontate in uno scontro terrificante, dieci secoli prima, durante la Guerra Fratricida tra gli uomini. Molte astronavi erano spezzate in più tronconi, con i rottami che volavano attorno al relitto principale come locuste di acciaio; altre erano pressocché intatte nonostante il gelo dello spazio avvinghiasse le loro chiglie e crepasse gli scafi che un tempo avevano viaggiato potenti tra le stelle. Kail di Proxima mosse con attenzione la Ragazza di ferro tra i rottami. Ogni minuscola scheggia di metallo era pericolosa come un piccolo proiettile e i relitti ruotavano su sé stessi con traiettoie ripetitive ma difficilmente calcolabili e quindi pericolose. Il Cacciatore di Taglie era atterrito e allo stesso tempo affascinato dalle dimensioni gigantesche di quelle corazzate che ricordavano nella forma le enormi mante che vivevano nell’unico oceano di Proxima. Le guerre che la sua gente aveva combattuto negli ultimi secoli erano state poco più che scaramucce con i Denniz e i Sentoriani. In quelle battaglie per il controllo di rotte commerciali più favorevoli verso il cuore della Galassia e i ricchi mercati delle Spirali vicine, erano state impiegate navi di media dimensioni, come la sua. Nemmeno la marina da guerra dell’Impero Hellano possedeva astronavi così grosse, certamente non le aveva la Federazione di Proxima la più potente Nazione umana, che si serviva dei Cacciatori di Taglie per amministrare la giustizia negli spazi siderali tra i suoi pianeti e li inquadrava nell’esercito quando scoppiava una guerra.
Tutte quelle zuffe sembravano insignificanti di fronte alle tremende macchine di morte che galleggiavano intorno a quel mondo senza nome. Kail sapeva a chi appartenevano quelle astronavi che avevano combattuto la più terribile guerra nella storia dell’umanità, quando i bombardamenti planetari e i saccheggi avevano spazzato via la vita da centinaia di colonie fiorenti. Quelle astronavi erano state costruite e armate dall’Impero di Tellus che un tempo aveva dominato su tutti i mondi umani e che che ancora esisteva al di là della Desolazione, chiuso in un volontario isolamento. Ancora le sue navi pattugliavano quella porzione di spazio e potenti satelliti scandagliavano quel confine naturale ascoltando tutto ciò che accadeva nelle sue antiche province ribelli. Erano tante le leggende che circolavano sugli abitanti dell’Impero. Si diceva addirittura che avessero scoperto il segreto dell’immortalità. Cosa sarebbe accaduto se, un giorno, quelle astronavi a forma di manta avessero nuovamente attraversato la Desolazione per riconquistare le antiche provincie ribelli? Kail rabbriviì al solo pensiero, toccando istintivamente i sofisticatissimi organi visivi hi-tech che rimpiazzavano i suoi occhi.
Il Cacciatore di Taglie scandagliò la distesa di relitti con i sensori della sua astronave, un robusto incrociatore Asturiano sul quale aveva speso milioni di crediti per sofisticate migliorie agli armamenti, ai motori, agli scudi e ai sensori. Fortunatamente sapeva dove cercare altrimenti avrebbe impiegato giorni per districarsi in quell’ammasso di rottami. L’uomo che gli aveva dato l’incarico era stato preciso. “L’ammiraglia è almeno il doppio delle altre, non puoi sbagliarti. Dovresti trovarla verso l’esterno del campo di detriti”
Lo scanner della Ragazza di Ferro individuò la massa più grande del campo di detriti, un’enorme relitto di metallo lungo almeno due chilometri. Kail diresse la sua nave verso il colosso che galleggiava, effettivamente, defilato rispetto al grosso dei relitti. Quando la Ragazza di Ferro fu vicina al gigante, Kail trasalì: la nave era spezzata in due e tutta la prua era sparsa per chilometri in piccoli frammenti fluttuanti nello spazio. In origine doveva essere stata lunga almeno il doppio ed era alta come un palazzo di trenta piani.
Un mostro di acciaio e tecnologia, avvolto dal gelo dello spazio. Sulla fiancata i fari della Ragazza di Ferro illuminarono le ultime lettere di una scritta consumata: Anania. Quel nome, in molti dialetti degli uomini significava Discordia.
Attivò lo scanner orbitale della Ragazza di Ferro. In una mezz’ora di lavoro il computer di bordo, un gingillo da trecentomila crediti della Federazione, creò un’immagine 3D in scala del relitto che apparve in mezzo alla cabina di pilottaggio. Un software sovrappose quell’immagine virtuale agli schemi tecnici dell’Anania che gli aveva fornito il suo datore di lavoro. Il calcolatore impiegò alcune decine di minuti confrontando ogni corridoio, oblò e possibile arredo. Calcolò i danni suibiti, il tempo in cui la nave era rimasta nello spazio e quanto il gelo e il continuo ruotare su un asse molto decentrato avesse potuto influire sulle strutture del relitto, applicando le variazioni supposte al modellino virtuale che stava creando. Alla fine il computer ricavò una mappa tridimensionale con una tolleranza del 64,59%.
“Non è molto ma deve bastare”. Kail indossò il casco e i guanti per la realtà virtuale e attivò il drone da esplorazione.
Posizionò l’astronave in un’orbita fissa attorno all’Anania e cominciò a guidare il robot. I sensori della Ragazza di Ferro erano posizionati su massima allerta. Il sistema doveva essere disabitato ma pirati e sbandati infestavano la Desolazione, soprattutto in quella zona dello spazio, lontana dal confine dell’Impero.
Il drone uscì dalla prua della Ragazza di Ferro. Assomigliava a un grosso sigaro di metallo pieno di luci e pannelli radar. Attivando la realtà virtuale Kail vide lo spazio come se si fosse trovato all’interno del drone. La rappresentazione era così reale che mentre si avvicinava all’enorme relitto troneggiante, il Cacciatore di Taglie sentì un brivido percorrergli la schiena. Addirittura, utilizzando i sensori di poppa del drone, poteva vedere la sagoma oblugna e irta di antenne e cannoni della Ragazza di Ferro come se fosse stato lui stesso nello spazio. Kail ingoiò una pastiglia di kark, una mistura di anfetamine, nicotina e droghe sintetiche che lo aiutava a concentrarsi.
Si immerse nella mostruosa gola di metallo che era il relitto. Anche a mille anni dalla sua distruzione, secoli passati nel gelo cosmico, il mostro manteneva un fascino sinistro, con in cannoni che ancora puntavano bocche spente su un nemico ormai scomparso. Il drone entrò dall’ampio squarcio a tribordo che aveva spezzato in due la nave. Seguendo la mappa tridimensionale Kail lo guidò per corridoi bui e silenti, illuminati solo dai fanali del drone. Detriti di ogni genere galleggiavano per quelle stanze scure: pezzi di metallo, cibo, cadaveri deformati dalla depressurizzazione e dal gelo che aveva loro congelato il sangue nelle vene, ma conservati nel vuoto spinto che si era sostituito all’atmosfera artificiale. La maggior parte dei corpi erano irriconoscibili ma uno colpì Kail: il suo volto era esploso ma, incredibilmente, una parte del teschio fluttuava ancora ai lati del tronco come a non volersene separare. L’uniforme nera era appena sgualcita e si vedevano perfettamente, sul cuore, le Tre Lune e il phy fatto di stelle, simbolo dell’Impero. Kail conosceva quello stemma che si trovava ancora in qualche antico edificio dei mondi della Federazione, sfuggito alla furia iconoclasta seguita alla Guerra Fratricida. L’Impero, riflettè, era una presenza inquietante nella galassia umana: come uno spettro albergava nelle paure degli uomini, distante eppure dannatamente vicino. Il Cacciatore di Taglie non resistette alla tentazione di ordinare al braccio telescopico del drone di recuperare la mostrina col logo dell’Impero. Collezionava cimelii e quello era un pezzo originale di mille anni prima. Nella foga, ottenebrato dal kark, Kail guidò il braccio maldestramente e il corpo, congelato da secoli, si sgretolo al contatto col drone. La targhetta si perse nello spazio circostante, avvolta dal buio oltre il fascio di luce emesso dal drone.
“Maledizione!”. Imprecò Kail. Era un professionista e quella piccola debolezza l’aveva rallentato già a sufficienza. Guidò il drone verso la sua meta.
Sbagliò più volte strada ma alla fine individuò gli alloggi ufficiali, posti al quarto livello, rallegrandosi che non fossero scomparsi con la prua della nave. Tutto era avvolto in un silenzio irreale. Finalmente trovò l’alloggio del comandante. Era una stanza sobria che aveva quadri veri alla parete, ancora visibili sotto un sottile strato di ghiaccio. Il tavolino tondo era ancora fisso al pavimento. C’erano vesti e carte che fluttuavano ovunque. Non fu difficile per Kail individuare la cassaforte incassata nella parete. Era ancora chiusa. C’era un laser sul drone e Kail lo usò per fondere la serratura che sfrigolò nel gelo al contatto con la fonte di calore. All’interno c’erano supporti magnetici per computer, un formato non più in uso, che comunque Kail prese col braccio telescopico del drone. Individuò anche il suo obiettivo, un parallelepipedo di carta e cartone.
Un libro.
Esistevano ancora libri negli archivi dei Mondi Esterni, anche se molti preferivano i video-libri e quindi i testi cartacei erano divenuti oggetti da collezionisti. Kail si era stupito che un funzionario della Federazione lo pagasse un milione di crediti per un oggetto del genere.

Era stato avvicinato dal burocrate due mesi prima, in una bettola di Kiloy, un mondo periferico rifugio di giocatori d’azzardo e contrabandieri. Il Cacciatore di Taglie si trovava sul quel pianeta freddo e scosso dai venti proprio per cercare un contrabbandiere, condananto a morte dalla Federazione. Il locale ospitava probabilmente tutte le più bizzarre creature della galassia. L’umano si era seduto al suo tavolo senza chiedergli il permesso, osservandolo con occhi bonari incassati nel pingue volto rubizzo.
“Sei tu Kail di Proxima?”. Aveva chiesto con voce cupa. Vestiva elegantemente, con una tunica argentata e preziosi anelli alle mani. Sulle prime Kail aveva pensato che l’uomo fosse un pazzo ad entrare in quel posto vestito da damerino. Poi aveva notato i quattro grossi droidi da combattimento che scortavano l’uomo. Sulle loro armature lucenti spiccavano i Due Soli di Proxima. Era al cospetto di un alto funzionario della Federazione.
“Sono io”. Aveva risposto.
“Bene. Io sono Darkoo, del Dipartimento della Cultura della Federazione. Ho un incarico per te”.
“Chi devo uccidere?”.
“Nessuno, questa volta!”. Aveva sorriso “Devi recuperare un oggetto e portarlo a Proxima”.
“Perchè il governo si scomoda tanto per una missione così stupida?”.
“L’oggetto è stato individuato in un relitto che si trova nella Desolazione”.
Kail si era sistemato meglio sulla sedia. La Desolazione era un luogo inquietante ma ricco di oportunità. Tutti gli uomini della galassia sapevano cos’era, molti la temevano, altri la sfruttavano per i loro loschi piani. Centinaia di parsec di mondi resi inabitati da una lunga guerra. Oltre la Desolazione, l’Impero. Un mondo di uomini così diversi da loro che in pochi avevano visto e che tutti temevano.
“Vi costerà parecchio: secondo i trattati nessuna nave della Federazione può entrare nella Desolazione, salvo un’autorizzazione ufficiale del governo”.
“Non c’è problema. Avrai denaro e salvacondotto”.
Non aveva fatto troppe domande quando la somma pattuita era stata versata sul suo conto corrente.

Caricò il libro sul drone e uscì in fretta dal relitto. Doveva mettere al sicuro la merce. Poi sarebbe tornato all’interno per razziare tutto ciò che si poteva da quel relitto. Quando il sigaro di metallo entrò nella chiglia della Ragazza di Ferro, Kail si rilassò. Scollegò la realtà virtuale e si concesse un attimo di relax. La Ballata dei metalli risuono poderosa e triste nell’abitacolo. Era l’unico canto conosciuto in tutti i mondi degli uomini. Si diceva fosse l’antico inno delle colonie ribelli, durante la Guerra Fratricida.

Fu allora che i sistemi diagnostici della nave identificarono un problema. Il drone era guidato dalla nave tramite un segnale radio ad altissima potenza che possedeva una serie di schermature di base. Kail aveva inserito un sistema diagnostico, acquistato da un mercante di schiavi sentoriano per trecentomila crediti, che controllava tutto il campo elettromagnetico attraversato dal segnale per evitare che qualcuno tentasse di forzare i codici di accesso e potesse intromettersi sulla stessa frequenza, prendendo il controllo del drone o leggendo i dati che inviava alla nave. Questa volta l’intromissione era stata appena percettibile, poco più che un disturbo radio che era durato pochi nanosecondi. Eppure il computer l’aveva registrato, indicandolo al Cacciatore di Taglie.
“C’è qualcuno! Ed è dannatamente bravo”. Kail attivò tutte le armi e i sistemi di difesa della nave. I sensori scandagliarono milioni di chilometri alla ricerca della fonte di disturbo, senza trovare nulla. “Per i due Soli! Da dove viene questo segnale!?”. Finalmente, i potenti sentori della Ragazza di Ferro individuarono un ammasso di acciaio in mezzo ad altri corpi di metallo, con un minuscolo campo elettrico, talmente piccolo da essere sembrato un’anomalia nelle precedenti scansioni e che si era rivelato per ciò che era solo ai potentissimi e costosissimi sistemi di difesa passiva della Ragazza di Ferro.
Un satellite spia.
“L’Impero!”. Kail rabbrividì. Non v’era dubbio che fossero loro: i pirati non avevno simili dispositivi e nemmeno Proxima li possedeva. Forse i Sentoriani potevano produrre qualcosa di così sofisticato, ma non avrebbero mai osato entrare nella Desolazione che l’Impero considerava comunque territorio umano.
“Cosa vuole l’Impero?”. I governi dei Mondi Esterni erano convinti che Tellus spiasse solo le porzioni di Desolazione prossime al suo confine. Evidentemente, però, la Sagitta, il temuto servizio segreto imperiale, aveva piazzato un satellite spia anche laggiù. Improvvisamente lo spazio solitario, dove si era sempre trovato a suo agio, gli sembrava ostile.
Un nuovo segnale di allarme apparve sul quadro strumenti. “Droni da guerra!”. Il satellite aveva intercettato la scansione della nave di Kail e stava prendendo le contro misure necessarie. Evidentemente l’Impero non voleva che qualcuno scoprisse la sua presenza in quel quadrante.
Piccole ogive di metallo lucente si stagliarono sul buio cosmico, puntando con decisione la nave del Cacciatore di Taglie.
Kail attivò i motori alla massima potenza per allontanare la nave dal piano dell’ecclitica e raggiungere il più velocemente possibile la distanza di sicurezza dal pianeta per lanciarsi a velocità tachionica: non voleva rimanere in quel sistema un minuto di più col rischio di venire attaccato da un vascello imperiale.
Mentre il computer effettuava i calcoli per il salto nell’iperspazio, una trentina di droni si mise in rotta di intercettazione, guadagnando rapidamente terreno. Spararono fasci di particelle ad alto potenziale.
SCUDI AL 60%.
“Maledizione”. I propulsori tachionici sottraevano energia alle armi e ai deflettori. Kail rispose al fuoco con alcuni siluri che mancarono il bersaglio. Un’altra bordata centrò la chiglia della nave. SCUDI AL 49% ALLARME ROSSO.
Kail osservò febbrilmente il monitor di stato dei motori tachionici.
APPROSSIMAZIONE ROTTA: 92%. POTENZA PROPULSORI: 95,89%.
Il Cacciatore di Taglie decise che doveva bastare e diede il comando. Percepì la vibrazione dei motori che facevano vibrare le stringhe della materia combustibile sino far loro assumere lo stato di tachioni, particelle, muovendosi a velocità iper-luce, avrebbero trascinato la nave nell’iperspazio. Avertì la leggera sensazione di vertigine mentre la nave abbandonava lo spazio reale ed entrava nell’iperspazio.
Quando la Ragazza di Ferro emerse dall’iperspazio, tutti gli allarmi suonarono all’unisono. A causa dell’approssimazione dei calcoli, la nave era emersa dall’iperspazio molto vicino a un gigante gassoso. Il terribile campo magnetico del pianeta stava catturando l’astronave. Kail fu abile a mantenersi freddo. Spense ogni sistema non necessario ed espulse tutto il carico, salvo il prezioso volume. Diede così tutta l’energia ai propulsori sub-luce. Fu fortunato a sganciarsi dall’abbraccio mortale del mostro di gas appena un attimo prima che fosse troppo tardi.
Finalmente libera, la Ragazza di Ferro si allontò da gigante verso una zona più sicura. Kail impiegò alcune ore a determinare la sua posizione e calcolare la rotta verso il punto di rendez-vous con il suo compratore.
Quando vide la forma oblunga di un grosso incrociatore della Federazione, Kail sorrise. Fu autorizzato ad attraccare a uno dei ponti di tribordo e dopo pochi minuti un uomo chiese di salire a bordo. Kail aprì il portello e si trovò davanti Darkoo, disarmato. Kail lo fece accomodare nel piccolo salottino a poppa della nave. Gli versò il jahal, un liquore aromatizzato molto pregiato, ricavato da alcuni lombrichi che vivevano nei deserti di Proxima.
“Hai recuperato il libro?”. Chiese Darkoo, senza preamboli.
“Certamente”. Kail si diresse alla cassaforte della nave dalla quale estrasse il volume, custodito in una teca che riproduceva il vuoto spinto in cui era rimasto immerso per secoli. “E ho fatto anche un’altra scoperta interessante”. Aggiunse porgendogli il libro. Darkoo lo esaminò con la sofisticata protesi che aveva nel braccio destro, probabilmente in grado di eseguire piccoli controlli sulla integrità del manufatto.
“Di cosa si tratta?”.
“Di sicurezza nazionale, direi. Ma te lo dirò solo, quando mi avrai tolto una curiosità”.
L’uomo non si scompose: l’universo si reggeva sulla trattativa. “Cosa vuoi sapere?”.
“Perché il governo federale è così interessato a questo libro”.
Il funzionario ridacchiò. “Kail di Proxima, mi avevano detto che sei ossessionato dai misteri! Comunque hai fatto un buon lavoro. Spero che la tua scoperta sia all’altezza di ciò che sto per dirti”. Il tono era vagamente minaccioso.
“Giudicherai tu stesso”.
“Va bene. Alcuni mesi fa venimmo a sapere da un mercante che era finito fuori rotta dell’esistenza del campo di detriti. Inviammo alcune sonde e ci rendemmo conto di trovarci di fronte ai resti di uno scontro della Guerra Fratricida. Individuammo l’ammiraglia ribelle, l’Anania, grazie ad alcuni documenti di archivio”.
“Questo cosa c’entra col libro?”.
“I comandanti ribelli portavano sempre con sé un libro, che chiamavano L’Ispiratore”.
“Non conosco questa storia”. Considerò Kail.
“Infatti è poco nota. L’Ispiratore era un testo antichissimo, che si credeva scritto sul mitico mondo di origine dell’umanità. Era considerato sacro dalle colonie che lottarono per l’indipendenza dall’Impero. Purtroppo, le guerre tra le colonie che seguirono alla pace con l’Impero fecero dimenticare questi grandi principi e l’Iconoclastia distrusse tutto ciò era legato all’Impero, comprese le biblioteche ove questi libri erano custoditi. Dell’Ispiratore restarono solo pochi frammenti sparsi. Furono anni bui ma ora recupereremo ciò che guidò la mano dei nostri padri e lo utilizzeremo per far nuovamente grandi i nostri mondi. Sei soddisfatto? Ora dimmi cosa hai scoperto”.
“Voglio sapere il titolo del libro”.
“Prima dimmi cosa hai scoperto”. Darkoo Sorrise. La trattativa era la linfa vitale dell’universo. Kail raccontò del satelli te spia e il funzionario della Federazione restò alcuni secondi in silenzio, le mani giunte al petto. “Occorrerà intensificare i controlli al confine. È la prima volta che scopriamo un’installazione imperiale così vicina al nostro territorio. Hai fatto un grande servizio alla Federazione”.
“Ora vuoi dirmi come si chiama questo libro?”.
“Certamente”. Sorrise Darkoo. “Si intitola il Principe, l’autore è Niccolò Macchiavelli”

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