Una riflessione su Giornalismo e Democrazia

17387_10201038364024194_722689311_nSabato 13 aprile ore 9.00, aula magna della Facoltà di Medicina, Policlinico di Modena. Un giorno speciale. Il Liceo Wiligelmo, il mio liceo organizza un’assemblea di istituto tutta particolare, dal titolo  “Stampa e giornalismo tra poteri forti e democrazia”. Siamo sempre nel solco delle celebrazioni dei vent’anni dello 00Willy il giornalino di istituto che ho contribuito a fondare assieme ai miei compagni di classe del 1993-1994 e alla mitica prof. Viky Capolino. Proprio lei, la Capolino, quando ci incontrammo al Wiligelmo per l’inaugurazione della mostra sul giornale mi chiese, en passant “Sorre, vuoi partecipare all’assemblea di istituto sul giornalismo?”. Io risposi con un si entusiastico, nella migliore tradizione dell’Allegra macchina da guerra di XOMEGAP che al solito prima risponde “presente” poi si preoccupa di cosa deve fare… questa volta, però, quando mi sono reso conto dei pezzi da novanta con cui avrei dovuto dialogare confesso che mi sono tremati i polsi. Cosa potevo dire io di interessante al cospetto di professionisti di questo calibro? La domanda mi ha artigliato le viscere sino a quando mi sono seduto sul palco dell’aula magna, gremita in ogni ordine di posti.

La giornata è stata Michele Smargiassi, modenese, arguta firma  La Repubblica che ha intervistato l’ospite d’onore, Giovanni Tizian, giornalista della Gazzetta di Modena e de Gruppo l’Espresso, noto per le inchieste sulla mafia al nord. Giovanni ha parlato con semplicità della sua vita “sotto scorta” e con passione delle sue inchieste, mettendo tutti in guardia dal pericolo di pensare che la mafia, la camorra e l’ndrangheta, se noi le ignoriamo, non possono farci del male. Esse, al contrario, innervano la società come un cancro e vanno combattute in ogni sede. L’arma che il giornalista ha contro le mafie è la conoscenza, un’arma potente perché contribuisce a creare nella società un movimento di reazione contro di esse. Silenzio e indifferenza sono terreni dove le mafie proliferano. L’inchiesta giornalistica, per essere efficacie, deve essere documentata, le fonti devono essere sicure, insomma deve essere in conquistare la fiducia del lettore. Gli onesti devono essere messi in condizione di non dover fuggire davanti ai criminali.

Dopo le domande dei ragazzi e Tizian, è cominciata poi la tavola rotonda, era quasi il mio turno – per fortuna parlavo per ultimo – e avevo ancora tempo per riordinare le idee, dopo il racconto di Giovanni che mi stava ispirando l’intervento. Il direttore della Gazzetta di Modena, Enrico Grazioli  ha puntato il dito sull’importanza dell’umiltà del giornalista che non deve sentirsi onnipotente ma deve fare il suo mestiere con coscienza. Francesco Zarzana, giornalista, scrittore e operatore culturale, inventore di BUK, ha raccontato la sua esperienza in Sicilia ma anche pressioni avute dai “poteri forti” oltralpe per un libro che stava scrivendo. Ha messo in guardia sulla necessità dell’informazione di non essere superficiale.

A questo punto il mio intervento si era già delineato cristallino nella mia testa, l’emozione forse lo ha resto un po’ fumoso nella mia favella, ma credo di potervelo riassumere.

Io sono uno storico e un divulgatore, oltre che un comunicatore. Credo che in fondo, il mestiere del giornalista è simile a quello dello storico e dello scrittore. Entrambi, infatti, indagano un avvenimento, lo approfondiscono e lo raccontano a un pubblico più o meno ampio. Entrami, quindi, hanno il compito di contribuire alla formazione di un’opinione pubblica informata. Mentre, però, il giornalista racconta l’attualità, lo storico cura la memoria collettiva di un popolo, che serve a ricordare chi siamo e come siamo arrivati ad esserlo. Non è un caso che proprio un grande giornalista, Indro Montanelli, dicesse “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”. Entrambe queste figure, giornalista e storico, cercano di creare gli anticorpi per difendere una società democratica dall’attacco dei virus che possono distruggerla. La democrazia, infatti, è una creatura fragile, sottoposta a due forze opposte. Da un lato c’è la tentazione di limitare le libertà in nome della sicurezza o del bene comune. Pensiamo al Patriot Act con cui il governo americano ha limitato alcune libertà costituzionali dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Dal lato opposto ci sono i rischi di deriva anarchica o, forse peggio, il rischio che gruppi antidemocratici utilizzino i meccanismi democratici per prendere il potere. Per non parlare delle derive populiste, altrettanto pericolose. La presenza di un’opinione pubblica informata è la condicio sine qua non per l’esistenza di una società civile che sia in grado alimentare i meccanismi democratici. Senza un’opinione pubblica formata e informata, infatti, la democrazia è solo un meccanismo di gestione del potere, come i maldestri tentativi occidentali di esportarla, negli ultimi decenni, hanno tristemente dimostrato.

Il mondo della cultura, quindi, ha il compito di fornire gli strumenti per la formazione di questa opinione pubblica, a cominciare dalla scuola che uno stato democratico deve considerare una sua componente strategica, non un peso da tagliare.

Il giornalista, come lo storico, dovrebbe comportarsi come raccomandò Ezio Mauro, allora direttore de La Stampa, in un convegno del 1994 alla Camera di Commercio di Modena. Ho ancora impresse in mente le parole che Mauro ci disse: “Un bravo giornalista, quando arriva davanti a un palazzo in fiamme, non si ferma alla facciata dove ci sono i pompieri, la polizia, il fuoco e le luci. Va dietro al palazzo, dove c’è buio e cerca di capire cosa è successo, cercando quei dettagli che davanti, con tutto il rumore, gli erano sfuggiti”.  Tutti devono fuggire alla tentazione di farsi trascinare dalla vis polemica perché una critica “acritica”, scusate il gioco di parole, è dannosa ed inutile.

Si tratta, se volgiamo schematizzare di applicare con coerenza – anche se non in modo ideologico – la cosiddetta regola delle 5 W (Five Ws in inglese), è la regola aurea dello stile giornalistico anglosassone che prevede di inserire nell’attacco del pezzo (lead) queste cinque informazioni, come risposta alle probabili domande del lettore che si accinge a leggere il pezzo.

  • WHO («Chi»)
  • WHAT («Cosa»)
  • WHEN («Quando»)
  • WHERE («Dove»)
  • WHY («Perché»)

È il lettore a cui il giornalista – ma anche lo storico e lo scrittore – deve il massimo rispetto, fornendo gli strumenti per farsi una propria idea e non imponendo una Verità univoca su un fatto. Non è un caso che la regola delle 5W abbia affinità con la struttura dell’azione morale che Tommaso d’Aquino indicò nella sua opera più famosa, la Summa Theologiae, in cui, alla fine del XII secolo, il teologo individuò gli elementi fondamentali che identificano la struttura dell’azione morale. Tommaso dà grande importanza ad un insieme di elementi secondari che influiscono sulla moralità di un’azione, solitamente indicati come circostanze. A questo riguardo, il filosofo fa una distinzione tra condizioni che riguardano l’oggetto (i già citati quando, ubi, quantum e quid) e condizioni che riguardano il soggetto agente. Infatti, esistono infinite circostanze in cui il soggetto ha potuto agire, ognuna delle quali conferisce all’azione un diverso significato.

Verifica delle fonti e approfondimento sono l’unica arma che abbiamo contro due nemici del giornalismo e, quindi, della democrazia: 1) i poteri forti 2) il calo di fiducia dei lettori. Davanti a un’inchiesta costruita su solide fondamenta, come dimostrano molti esempi anche in Italia (non c’è bisogno di scomodare il Watergate), i poteri forti devono cedere il passo e anche il lettore premia il giornalista. Grazie a questa arma possiamo andare dietro il palazzo in fiamme e raccontare ai lettori i fatti documentati, permettendo loro di farsi un’idea di ciò che è successo.

In chiusura vorrei tornare, come un Ouroboros, alla mia esperienza a Controllo Zero e alla Voce del Willy quando, sotto la guida della prof. Capolino, tentammo di trasformare il giornalino di istituto in un prodotto in grado di divenire un punto di riferimento per gli studenti ma anche per il corpo docente. In quegli anni abbiamo lavorato come una “redazione adulta”, tanto che proprio Zarzana, allora scrisse un articolo su di noi, che vorrei ritrovare, dove ci definì un “giornale adulto”. Abbiamo imparato soprattutto il rispetto per i nostri lettori, che tutt’oggi cerco di trasmettere nei corsi di scrittura, e l’esigenza di una ricerca accurata.

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